È stata decisa la reintroduzione del cd. Redditometro, diretto a scovare i furbetti che non dichiarano i propri redditi al Fisco. I trasgressori rischiano grosso.
Con il Decreto Ministeriale del 7 maggio 2024, è stato nuovamente inserito lo strumento del Redditometro.
L’obiettivo è rendere più agevoli le operazioni di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, ai fini della determinazione del reddito di tutti i contribuenti.
In pratica, vengono confrontate le spese effettuate dalle persone fisiche con i redditi dichiarati. Se le spese superano del 20% i redditi, allora vi è presunzione di irregolarità. Il principio alla base del Redditometro è molto semplice: non si può spendere più di quanto si guadagna, perché altrimenti il Fisco potrebbe presumere che ci siano entrate non dichiarate.
Ma vediamo, nel dettaglio, come funziona lo strumento.
L’Agenzia delle Entrate potrà usare di nuovo il Redditometro: cosa cambia?
L’Agenzia delle Entrate può decidere di effettuare controlli fiscali nei confronti di determinati contribuenti.
Innanzitutto, invia all’interessato una comunicazione con la richiesta di supervisione della documentazione relativa ai cd. indizi di capacità contributiva, cioè i beni e i servizi a disposizione del contribuente. Su tale documentazione, poi, l’Agenzia delle Entrate determina il reddito presunto del contribuente e lo confronta con il reddito effettivamente dichiarato.
Nel caso in cui il reddito presunto risulti superiore del 20% a quello dichiarato, si può predisporre un accertamento fiscale. Se, infine, anche quest’ultimo prova la difformità tra il reddito dichiarato e quello presunto, al contribuente potrebbero essere irrogate pesanti sanzioni.
Il Decreto Ministeriale specifica che gli indizi di capacità contributiva presi in considerazione dal Redditometro sono: gli immobili, gli autoveicoli, i conti correnti, i depositi bancari e i titoli, le carte di credito e prepagate, le rate di mutui o gli affitti, le spese per le utenze (bollette di luce, gas, acqua e telefono, le spese per i beni di lusso (come i viaggi) e le quote di partecipazione in società.
L’art. 4 del provvedimento, infine, chiarisce in che modo i contribuenti coinvolti possono difendersi dall’accertamento fiscale. A tal fine, devono fornire la prova contraria, diretta a dimostrare che:
- le spese contestate sono state sostenute grazie a redditi che non sono legati al periodo d’imposta considerato oppure a redditi esenti o legalmente non imponibili;
- le spese sono state compiute da un soggetto terzo;
- il totale delle spese sostenute è differente da quello calcolato dall’Agenzia delle Entrate;
- la quota di risparmio usata per i finanziamenti, i consumi o gli investimenti è stata accumulata negli anni antecedenti.