L’uso fraudolento delle somme di anticipo del TFR per scopi non contemplati dalla legge ha delle importanti ripercussioni per il lavoratore coinvolto. Ecco cosa si rischia.
La normativa (e, in particolare, l’art. 2120 del codice civile) permette di richiedere al datore di lavoro l’anticipo del TFR. La domanda, tuttavia, può essere presentata solo in determinati casi, allegando la documentazione che motiva la richiesta.
Nel dettaglio, tale facoltà è riservata ai lavoratori dipendenti che hanno svolto attività per almeno 8 anni presso lo stesso datore. L’anticipo permette di ottenere fino al 70% del TFR maturato. La domanda può essere presentata in tre ipotesi:
- per l’acquisto della prima casa (o del terreno su cui costruire la prima casa) per se stessi oppure per i propri figli;
- per pagare le spese sanitarie relative a trattamenti e terapie necessarie e improvvise;
- per affrontare le spese durante i congedi parentali o per formazione.
Ma cosa succede se, una volta ottenuto l’anticipo del TFR, il lavoratore usa le relative somme per finalità differenti da quelle specificate nella richiesta e che giustificano l’erogazione? Le conseguenze sono molto pericolose, scopriamo in cosa consistono.
Anticipo del TFR per fini differenti: può essere chiesta la restituzione del denaro?
Per capire cosa accade al lavoratore che fa un uso fraudolento dell’anticipo del TFR, bisogna rifarsi alla giurisprudenza, perché la legge non stabilisce nulla di specifico al riguardo. In più occasioni, i giudici hanno dichiarato che il datore di lavoro potrebbe chiedere la restituzione della somma oppure il risarcimento dei danni.
Il risarcimento potrebbe essere chiesto anche da eventuali dipendenti e colleghi del dipendente a cui è stato pagato l’anticipo del TFR, se, per tale ragione, sono stati esclusi dalla lista dei beneficiari. In alcune aziende, infatti, l’anticipo del Trattamento di Fine Rapporto non può essere pagato contemporaneamente a tutti i lavoratori, ma solo al 10% dei richiedenti e a non più del 4% del numero complessivo dei dipendenti.
In conclusione, anche se esiste una lacuna normativa in materia, si può accogliere l’orientamento giurisprudenziale in base al quale il datore di lavoro può verificare la reale destinazione delle somme accreditate a un dipendente a titolo di anticipo del TFR, per accertare che il denaro (tutto o in parte) non sia stato utilizzato per fini differenti da quelli per i quali era stato richiesto.
La restituzione delle somme, però, non può essere pretesa nel caso in cui l’importo delle spese affrontare e documentate sia leggermente inferiore all’ammontare totale dell’anticipo.