Nei prossimi anni, i lavoratori andranno in pensione più tardi e percepiranno un assegno più basso, a causa delle nuove regole del calcolo contributivo.
Entro il 2027 verranno modificati i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia. Nel dettaglio, si smetterà di lavorare quasi due anni più tardi e si avrà diritto a un assegno più misero, con tagli che potrebbero arrivare fino al 25%.
A confermare tali dati sono le stime della Ragioneria Generale dello Stato, pubblicate nel rapporto sulle “Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario“. In base a tale analisi, tra il 2023 e il 2027, l’applicazione delle regole del calcolo contributivo e la revisione dei coefficienti di trasformazione produrrà delle conseguenze deleterie per i futuri pensionati.
La situazione è davvero critica, se si pensa che molti strumenti di flessibilità in uscita potrebbero essere soppressi con la prossima Legge di Bilancio; in assenza di una riforma strutturale del sistema pensionistico, dunque, si rischia di non poter accedere alla pensione anticipata e di dover attendere necessariamente la maturazione dei nuovi requisiti. Ma vediamo quali sono le cause alla base dell’innalzamento dell’età pensionabile e della riduzione degli assegni pensionistici.
In pensione più tardi e con un assegno inferiore: i motivi del cambiamento
Uno degli elementi che incide maggiormente sulla determinazione dell’importo della pensione è il cd. tasso di sostituzione, ossia il valore che misura il rapporto tra l’ammontare della prima rata di pensione e l’ultimo stipendio percepito.
Tale elemento si riduce in maniera progressiva a seconda di diversi fattori economici e previdenziali, portando a pensioni di ammontare meno elevato e quasi spesso insufficienti a garantire un adeguato tenore di vita.
L’età pensionabile (attualmente fissata a 67 anni), invece, dipende dalle aspettative di vita. Poiché queste ultime sono in aumento, anche l’età pensionabile è destinata ad innalzarsi, portando un notevole svantaggio per i lavoratori.
Come rileva il rapporto della Ragioneria Generale dello Stato, la problematica del calo degli assegni pensionistici è diretta conseguenza della necessità di tenere a bada la spesa pubblica. Da una parte, infatti, bisogna garantire l’efficienza del sistema previdenziale, mentre dall’altra è necessario mantenere la stabilità finanziaria.
La sostenibilità finanziaria potrebbe, dunque, risultare insostenibile dal punto di vista sociale, perché metterebbe in pericolo i soggetti economicamente più deboli. Secondo le stime, dal 2040, per i dipendenti soggetti al sistema contributivo puro, l’età per accedere al periodo di quiescenza potrebbe corrispondere all’età minima per la pensione anticipata, con tre anni in meno rispetto al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia e una finestra di tre mesi dalla maturazione dei presupposti richiesti.