Tra le ipotesi sul tavolo del Governo, in tema pensioni, occhio a nuovi eventuali bonus: in quali casi scatterebbero?
La telematica che si lega alle pensioni desta sempre una forte attenzione, trattandosi per l’appunto di un argomento estremamente importante e che sta a cuore a molti. Fra le ipotesi sul tavolo del governo, rispetto alle pensioni, anche degli eventuali bonus che spingerebbero talune categorie di lavori ad accedere alla pensione più tardi.
Tra qualche settimana ad entrare nel vivo saranno i lavori riguardanti la legge di bilancio 2025 e tra gli aspetti più rilevanti di certo vi sono le pensioni. Si pensi ad esempio a Quota 41 con assegno ridotto, misura richiesta in ottica Lega, oppure ancora ad un aumento degli assegni minimi come chiede Forza Italia. Fra i vari nodi, potrebbe esserci anche la possibilità di un lancio di bonus specifici per coloro che decidessero di lasciare più tardi il proprio lavoro.
In chiave legge di bilancio, l’esecutivo dovrà occuparsi del rinnovo di varie misure dispendiose, come nel caso del taglio del cuneo fiscale e della riforma IRPEF. Anche il tema pensioni desta una certa attenzione, con la conferma avvenuta per il 2024 di misure come Ape Sociale, Opzione Donna con requisiti diversi rispetto al passato e Quota 103, caratterizzata da un assegno più basso ed una più lunga finestra d’attesa, prima di lasciare l’attività lavorativa.
Si tratta di misure che giungeranno a scadenza alla fine dell’anno, e non mancano già varie proposte per quel che concerne il 2025, pur in presenza però di risorse scarse. Tra le idee, ad ora, vi è anche quella di portare talune categorie di lavoratori ad accedere alla pensione più tardi. Potrebbe trattarsi di un aumento di stipendio con alcuni anni in più di attività lavorativa.
Sul rilevante tema delle pensioni, fra le ipotesi al momento, vi sarebbe anche dunque quella legata a dei bonus tesi a spingere i lavoratori a lasciare più tardi il proprio lavoro. Il modello potrebbe essere quello del bonus Maroni, a cui si legano premi per coloro che decidono di rinunciare alla pensione anticipata. Tramite tale meccanismo, nel lasso di tempo che va dalla richiesta all’ottenimento della pensione di vecchiaia, il dipendente rinuncia al versamento della propria quota di contributi previdenziali.
Dunque, gli importi che di solito sarebbero inviati al proprio ente previdenziale, al fine di formare il cumulo contributivo che va poi a determinare la pensione, vengono lasciati in busta paga, e di riflesso rinunciando all’accesso alla pensione si ha uno stipendio più elevato.
Altro esempio è quello riguardante la pensione di medici. A partire dal marzo dell’anno in corso, i medici hanno modo di poter restare, qualora lo vogliano, al lavoro sino a 72 anni d’età, e ciò si tradurrà non in uno stipendio più elevato bensì in una pensione maggiorata. Il valore dei contributi oggetto di versamento dopo aver compiuto 68 anni sarà maggiore nel calcolo dell’assegno.
Ad ogni modo, è bene tener presente che le ipotesi allo studio dell’esecutivo ad ora non sono ancora definite. A fare la propria comparsa potrebbero essere dei bonus che potrebbero spingere talune categorie a non lasciare il lavoro, e fra queste potrebbe essere per esempio il caso delle forza armate. Ad ogni modo, è possibile che le eventuali misure possano riguardare gruppi specifici e non ogni pensionato, in virtù dei costi.
Accanto ad un eventuale meccanismo teso a favorire una maggior permanenza a lavoro, potrebbe esservi quello mirato ad invitare i dipendenti al versamento di parte del TFR all’interno dei fondi di previdenza complementari. In tal senso, tale ipotetico intervento potrebbe aver a che fare in particolare con gli under 35. Quella in questione è una proposta ventilata particolarmente dalla Lega, che intererebbe unirla a Quota 41 con assegno ridotto. In ogni caso, occorrerà aspettare per capire che direzione sarà presa.
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