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Spazio: gli astronauti rischiano problemi di disfunzione erettile, anche dopo il rientro sulla Terra

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Federico Liberi

Gli astronauti impegnati in future missioni potrebbero affrontare sfide, tra cui la possibilità di disfunzione erettile dovuta all’esposizione ai raggi cosmici.

Tra tutti i pericoli legati all’esposizione ai raggi cosmici, particelle altamente energetiche che attraversano lo spazio al di fuori dell’involucro protettivo dell’atmosfera terrestre, la sfera della salute sessuale era stata finora trascurata. Un recente studio della NASA ha evidenziato che le radiazioni spaziali, con un impatto minore della microgravità, potrebbero provocare problemi di disfunzione erettile negli astronauti maschi, persistendo anche dopo il loro ritorno sulla Terra. Ma vediamo questo e tutti gli altri rischi che corrono gli austronauti.

Disfunzione erettile e non solo: ecco tutti i rischi che corrono gli astronauti

La ricerca, condotta finora solo su topi, solleva inquietudini per gli equipaggi che si stanno preparando alle prossime missioni nello Spazio profondo, inclusi gli astronauti del programma lunare Artemis, previsti per orbitare attorno alla Luna l’anno prossimo e tornarvi nel 2025. Per fortuna, il danno causato ai tessuti vascolari dai raggi cosmici non sarebbe irreparabile, secondo quanto riportato nel rapporto dell’agenzia spaziale statunitense pubblicato il 22 novembre.

Sebbene la disfunzione erettile colpisca oltre la metà degli uomini sopra i 40 anni, gli impatti del volo spaziale su questa condizione non erano mai stati esaminati. Sulla Terra, siamo schermati dai danni dei raggi cosmici grazie al campo magnetico e all’atmosfera; gli astronauti sulla ISS continuano a beneficiare della protezione del campo magnetico terrestre, ma al di fuori dell’atmosfera ricevono in un giorno la quantità di raggi cosmici che un terrestre accumula in un anno. Sulla Luna e su Marte, gli astronauti saranno difesi dalle radiazioni cosmiche solo tramite specifiche protezioni.

Immagine | Pixabay @NzokaJohn – Cityzen.it

Justin La Favor, specialista in disfunzioni neurovascolari presso la Florida State University, ha cercato di simulare gli impatti delle radiazioni cosmiche sulla fisiologia maschile sottoponendo alcuni topi a condizioni simili a quelle di un soggiorno nello Spazio profondo. All’interno dello Space Radiation Laboratory della NASA a New York, i roditori sono stati esposti a raggi cosmici simulati e mantenuti in sospensione con un’inclinazione di 30 gradi.

Dopo un anno, l’analisi dei tessuti responsabili della funzione erettile nei topi ha rivelato che anche una breve esposizione ai raggi cosmici aveva aumentato lo stress ossidativo negli animali, causando danni alle arterie che irrigano il pene. Anche la microgravità simulata aveva prodotto un impatto negativo, sebbene in misura minore. Gli autori sostengono che ciò suggerisce che la funzione neurovascolare dei tessuti erettili negli astronauti potrebbe rimanere compromessa a lungo, anche dopo la conclusione della missione.

La notizia positiva è che l’uso di antiossidanti che mirano ai percorsi chimici che regolano la circolazione del sangue, come quello dell’ossido nitrico, responsabile della vasodilatazione, sembra migliorare la funzionalità dei tessuti e contrastare la disfunzione erettile. Di tutte le conseguenze più o meno “scomode” dei viaggi spaziali di lunga durata, questa, per fortuna, non sembra essere permanente.

Ma quali sono gli altri rischi che corrono gli astronauti?

È ben noto che gli astronauti affrontano numerose conseguenze, sia fisiologiche che psicologiche, dopo una prolungata permanenza nello spazio. La National Academy of Sciences, in un recente rapporto, ha precisato che con “permanenza prolungata” si intende un viaggio di almeno 30 giorni, anche se la maggior parte degli astronauti rimane in orbita da 3 a 12 mesi, talvolta anche 18. Consideriamo un futuro viaggio con equipaggio umano verso Marte: i viaggiatori fortunati impiegherebbero quasi sei mesi per raggiungere il Pianeta Rosso, a patto che sopravvivano a incontri ravvicinati con asteroidi, e altrettanti per tornare, se mai fosse possibile. Il corpo umano deve adattarsi alla microgravità, che è del 38% rispetto a quella terrestre; muscoli e ossa subiscono notevoli stress. Senza dimenticare le radiazioni solari. La NASA è obbligata per legge a proteggere i suoi equipaggi da eventi come le tempeste solari, poiché l’esposizione cumulativa alle radiazioni nello spazio rappresenta un rischio concreto per la salute, aumentando significativamente le probabilità di sviluppare tumori. Gli esperti della NASA hanno stimato che, per mantenere un rischio inferiore al 3%, un uomo dovrebbe passare al massimo 268 giorni nello spazio, e una donna 159.

Adattarsi alla vita in una navicella spaziale non è semplice: entrando in orbita, corpo e cervello richiedono qualche giorno per adattarsi alle nuove condizioni ambientali. La sindrome da adattamento allo Spazio (SAS) colpisce molti astronauti, con la nausea spaziale come una delle conseguenze più spiacevoli, simile al mal di mare. I sintomi sono stati classificati sulla cosiddetta scala Garn, dal nome di Jake Garn, astronauta che, nel 1985, durante un viaggio sullo Space Shuttle, sembra abbia patito il caso più grave di nausea spaziale nella storia della NASA.

Studi recenti, utilizzando strumenti ad ultrasuoni su 12 astronauti durante la permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale, hanno rivelato che dopo 6 mesi il loro cuore ha assunto una forma più sferica. Le conseguenze a lungo termine di questi cambiamenti potrebbero essere molto serie una volta tornati sulla Terra, portando anche a problemi cardiaci più gravi. Non solo, due recenti studi hanno esaminato specificamente anche i cambiamenti e lo stress che gli occhi subiscono in condizioni di microgravità orbitale, riscontrando stress ossidativo dei bulbi oculari, ovvero un invecchiamento rapido dell’occhio. I viaggi nello spazio, infatti, sottopongono gli occhi degli astronauti a radiazioni violente, ipotermia, ipossia e variazioni di gravità, responsabili del danno tissutale.

Quali altri organi sono coinvolti? Lo scheletro degli astronauti è sottoposto a diverse sollecitazioni, proprio a causa dell’assenza di gravità: non essendo necessario contrastare la forza di gravità, il nostro corpo e i muscoli sono inattivi, e il calcio, anziché depositarsi sulle ossa, viene eliminato dall’apparato urinario. Ciò comporta assottigliamento delle ossa (osteoporosi) e un aumento delle probabilità di sviluppare calcoli renali. L’inattività si ripercuote anche sui muscoli, che tendono a perdere massa. Gli astronauti sono quindi obbligati a seguire un programma quotidiano di allenamento intensivo. I ricercatori della NASA hanno sottolineato che comprendere la quantità e il tipo di esercizio necessario per mantenere sano il cuore degli astronauti sarà cruciale per garantire la loro sicurezza durante viaggi lunghi come quelli verso Marte.

Altre complicazioni possono verificarsi a livello delle vie aeree, a causa dell’accumulo di liquidi nella parte alta del corpo, che può causare forti congestioni nasali e una generale difficoltà respiratoria nello spazio.

Se il fortunato astronauta evita problemi al sistema osseo, al cuore e alla vista, ci sono comunque i microbi spaziali a minare la sua salute. Un test sulla stazione spaziale russa Mir ha rivelato la presenza di 234 specie di batteri e funghi microscopici a bordo con gli astronauti. Il personale della ISS tra il 1995 e il 1998 ha segnalato un alto numero di infezioni microbiche, come congiuntiviti, difficoltà respiratorie acute e infezioni dentali. E cosa potrebbe accadere in un viaggio lungo come quello verso Marte? Una volta arrivati sul pianeta, a peggiorare un quadro già drammatico, i viaggi spaziali compromettono il sistema immunitario degli astronauti, rendendoli più sensibili agli effetti dei microbi. Studi medici hanno dimostrato che gli antibiotici sono meno efficaci, e gli esperti sperano che gli antiossidanti possano contrastare questi effetti. I ricercatori della NASA e di altre agenzie spaziali non sono scoraggiati; esperimenti in orbita, come quelli descritti da Luca Parmitano, insieme a programmi di allenamento e alimentazione controllata, porteranno a una migliore comprensione delle malattie cardiovascolari comuni, come cardiopatia ischemica, disfunzioni delle valvole cardiache, glaucoma e tumori. Parmitano si è sottoposto a uno scan della colonna vertebrale durante la sua permanenza sulla ISS, usando un ecografo di ultima generazione che potrebbe essere impiegato fra qualche anno nelle zone remote del pianeta, in sostituzione della risonanza magnetica. In futuro, verranno pensate soluzioni non invasive per curare l’uomo, come diete speciali o medicine da assumere in volo, alternative a interventi laser e chirurgici. E se tutto ciò non bastasse, anche la mente può giocare brutti scherzi in orbita. Gli astronauti nello spazio riscontrano affaticamento, letargia, paura di avere l’appendicite, dolori ai denti comparsi dopo aver sognato di avere dolore ai denti, e paura di diventare impotenti. Tuttavia, ci sono anche effetti positivi, come l’effetto visione totale di Frank White, un senso di meraviglia e soggezione verso l’Universo, portando a un sentimento di pace, unità con la natura e trascendenza.

Federico Liberi

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